di Antonio Corona

Giusta o meno che sia, la linea finora adottata da Roma sul conflitto russo-ucraino appare l’unica ragionevolmente percorribile.

Anche volendo, considerati altresì l’insieme e lo stato attuale di risorse e capacità produttive ed economico-finanziarie del sistema-paese, non pare infatti esservi alcuno spazio per iniziative in autonomia.

Tanto vale uniformarsi a Bruxelles.

Non fosse altro, per potere poi legittimamente reclamarne la benevolenza sulle difficoltà che continuano ad avviluppare una penisola così pesantemente zavorrata da un asfissiante debito pubblico e da un insopprimibile, insaziabile, inappagabile, bisogno di materie prime.

Nonché, particolare di non poco conto, fortemente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento energetico, non ultimo per la rinuncia da tempo a fonti che pure non le sarebbero precluse: nucleare di ultima generazione, sfruttamento di giacimenti di metano in Adriatico.

Giacimenti, questi, stimati in 90miliardi di metri cubi, al costo di estrazione di 5centesimi/mc a fronte di 50/70 centesimi per la stessa quantità se invece importata(Sole24ore, Jacopo Giliberto, 6 novembre 2021)(!).

Pace.

Somiglia un po’, talvolta, alla “sora Camilla”, quella del “tutti la vonno, nissuno se la pija”.

A proposito: la pace, esiste, o rappresenta piuttosto un mero anelito, un pio desiderio, un tendere verso?

Non conforta la definizione che ne dà Treccani.it: “Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi.”.

La pace, dunque: esiste, o rappresenta piuttosto un mero anelito, un pio desiderio, un tendere verso?

Non pochi, anche da autorevoli e influenti scranni, continuano a ispirarsi a dottrine che individuano nel conflitto di classe il motore della Storia; o, di converso, che pongono competizione e concorrenza a fondamento profondo di sviluppo e libertà.

Si converrà che possa perciò venire da chiedersi quanti, di coloro che invochino e sventolino a ogni piè sospinto quella magica parola, siano appieno consapevoli del suo effettivo significato(perlomeno, stando a… Treccani.it).

“Meno male che il Papa c’è”.

Per Lui, e ci mancherebbe altro, siamo tutti fratelli e sorelle.

Ah, già!, Caino e Abele.

Sì, va bene…, ma scagli la prima pietra chi non abbia una pecora nera in famiglia!

Suggestivo, in tema, il caro, vecchio, intramontabile, ricorrente Thomas Hobbes.

Per quanti ne abbiano interesse, sul suo pensiero, come traccia, si rinvia a Wikipedia che non sarà la Bibbia nondimeno, tra i suoi pregi, annovera certamente agilità e immediatezza di consultazione.

Con l’occasione: è in cerca di donazioni per finanziarsi e sopravvivere.

Personalmente, già provveduto.

Hobbes è convinto che nello “stato di natura”, quando non esiste ancora la società umana, ogni singolo uomo, considerato nella sua individualità corporea, tenda ad acquisire per sé tutto ciò che ne favorisca il movimento vitale.

Mosso dalla necessità di auto-conservarsi, ciascuno entra fatalmente in rotta di collisione con gli altri: è il bellum omnium contra omnes, la guerra di tutti contro tutti, dell’homo homini lupus.

Poiché il conflitto porterebbe ineluttabilmente alla morte di ognuno dei contendenti – così conseguendo l’opposto di quanto al contrario essa prescriva, l’autoconservazione – è allora la natura stessa a:

  • indicare la via d’uscita. Un accordo, non per un superiore ideale morale – per Hobbes, dalla politica è esclusa ogni etica – ma solo per un principio materiale, naturale, di autoconservazione, appunto;
  • costringere l’uomo, con le passioni e la ragione, a ricercare la pace: “(…) Le passioni che spingono l’uomo alla pace sono la paura della morte, il desiderio di quelle cose che sono necessarie per una vita confortevole (…). E la ragione suggerisce dei principî capaci di assicurare la pace, sui quali gli uomini possono essere indotti ad accordarsi. Questi principî sono quelli che sono anche definite leggi di natura. (…)”.

Le leggi di natura non sono norme etiche oggettive insite nella natura, bensì semplici regole logiche, suggerite dalla ragione, come condizioni per ottenere la pace che l’uomo, se vuole conservarsi, deve seguire per non entrare altrimenti in contraddizione con se stesso e, con la morte, distruggere sé e la sua stessa essenza corporea.

La ragione impone che:

  • si debba perseguire in ogni modo la pace(“Pax est quaerenda”) e mantenerla;
  • a scopo siffatto, si rinunci a una parte del proprio diritto naturale di appropriarsi di tutto ciò che favorisca la propria conservazione. Limitarsi, cioè, a conservare per sé tanta libertà quanta se ne riconosca agli altri;
  • si adempiano i patti(Pacta sunt servanda). Nel caso ciò non accada, intervenga lo Stato con la sua forza prospettando, a chi trasgredisca, una pena maggiore dei vantaggi che ci si sia riproposti di ottenere violando l’accordo.

Si condivida o meno l’illustrato argomentare e le conclusioni cui Hobbes perviene sul versante politico-religioso, sembra – beninteso, grossomodo – che quanto imposto dalla ragione non sia così fuori del mondo.

Magari, tenendo conto di un paio di corollari.

L’intervenuto mutamento delle condizioni che abbiano favorito all’epoca una intesa, può generare successivamente rinnovate rivendicazioni e correlati focolai di contrasto.

Spesso, con il trascorrere del tempo, si conferisce assai minore importanza a ciò che si sia ottenuto rispetto a quanto invece rinunciato per addivenire a un accordo.

Le diverse parti devono trovarsi in sostanziale equilibrio, nessuna deve essere, o pure soltanto ritenersi, in una situazione di vantaggio tale da potere sopraffare l’altro.

Roma.

Incrocio.

Due automobilisti, entrambi convinti della… scorrettezza dell’altro, se ne dicono di tutti i colori.

Scendono con fare bellicoso dalle rispettive autovetture.

Si squadrano, si pesano: due marcantoni.

Un attimo di esitazione, sguardi d’un tratto complici, e..: “se famo male!”.

Eccoli, subitamente di nuovo a bordo, ognuno per la propria strada.

“Analogo” motivo – evitare di venire alle mani(sennò, “se famo male”) – ispirò il sistema di alleanze “muscolose” europee a cavallo del XIX e XX secolo, Francia-Gran Bretagna-Russia opposte a Germania-Austria Ungheria-Italia.

Una grossolana sottovalutazione della crisi determinata dal rocambolesco attentato nel quale perirono a Sarajevo l’erede al trono asburgico e la consorte, che erroneamente si pensò di potere risolvere sollecitamente con le armi(“entro Natale”, si profetizzò allora!), fece tuttavia precipitare gli eventi.

Per effetto delle garanzie automatiche tra alleati, cui l’Italia si sottrasse, eccependo la natura difensiva e non offensiva della Triplice, quel sistema di alleanze, che pure aveva assicurato un periodo di relativa calma, paradossalmente trascinò poi tutti in guerra, uno appresso all’altro, come ciliegie.

Uno scontro che si rivelò epocale, originato da una irrisolta questione tra un gigante, l’Impero austro-ungarico, e un Paese dalla storia travagliata(corsi e ricorsi storici?).

Con Gavrilo Princip, l’omicida dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia di Hohenberg, inconsapevole antesignano di… Scrat, lo scoiattolo coi denti a sciabola dell’Era glaciale(!).

Tornando al conflitto russo-ucraino.

Qualcuno ha per caso compreso(nella affermativa, per cortesia, si faccia avanti!) quali sarebbero le condizioni che consentirebbero cessazione delle ostilità e progressiva ripresa di rapporti civili tra i due Paesi?

Insomma, a cosa mira veramente la Russia?

E l’Ucraina?

Che chance concrete di soluzione possono avere le sollecitazioni per negoziati tra le parti, se non ne siano noti almeno i reali termini di massima?

L’Unione europea, per quanto ci coinvolga più direttamente, vi si sta spendendo molto.

La N.A.T.O.(e/o i singoli Paesi che la compongono?) sta(/stanno?) fornendo armi a Kiev.

Bene.

Per farne?…

Quale, cioè, la strategia?

Permettere alla Ucraina di vincere sul campo; semplicemente resistere a oltranza, magari in attesa che il sistema russo imploda causa  sanzioni; altro?

Soprattutto, si ripete, in nome di… (v. supra)?

E chi stabilisce quando sia finalmente giunto il momento di chiudere la partita?

Fermo restando come, “a occhio”, appaia improbabile che la Russia possa accettare, con tutto ciò che ne consegua, un esito della vicenda che la veda soccombente, per di più sulla porta di casa.

Sanzioni.

Al netto del sempre possibile quanto involontario “fuoco amico”, le azioni che si intraprendono in combattimento sono dirette a colpire in campo avverso, non nel proprio.

In questo caso, la prospettiva, per niente remota, è che, a lungo andare, in ispecie riguardo quelle afferenti al settore dell’approvvigionamento energetico, le sanzioni possano danneggiare e fare saltare per aria le economie di almeno alcuni dei Paesi, Italia in testa, che le abbiano adottate.

Il tutto, mentre Kiev, peraltro comprensibilmente dal suo punto di vista, non smette ogni volta di stigmatizzarne la pretesa insufficienza – rilanciando in continuazione e pretendendo che vengano chiusi con sollecitudine i rubinetti del metano e petrolio russi – e di rinfacciare all’Occidente pretese manchevolezze.

A dir poco straordinario il gioco di equilibrismo tra opposte esigenze condotto da Roma.

Quanto, però, potrà durare?

L’Europa, faticosamente, sta solamente adesso uscendo dalla (o convivendo con la?) pandemia.

La gente è stanca, provata, fiaccata da due anni lunghi, interminabili, di privazioni, rinunce, dolori.

Quanto sarebbe in grado di sostenere altri sacrifici?

Non sarà mica pure per questo che Mosca abbia scelto proprio questo momento per dare fuoco alle polveri?

Quanto infatti potrebbe reggere il c.d. “fronte interno” occidentale, se il conflitto, e connessi effetti, non si fermasse in tempi brevi(che sia questa la chiave di lettura delle preoccupazioni – stando a come riportate dai mass media – manifestate in queste ore dal Viminale, circa la non remota possibilità di tensioni sociali)?

Soprattutto, in nome di… (v. di nuovo sopra)?

Superiori ideali morali, diritti, democrazia?

Hobbes probabilmente avrebbe un sussulto, ne rimarrebbe a dir poco turbato.

Il filosofo britannico fu coevo alla guerra dei trent’anni, che dilaniò letteralmente l’Europa tra il 1618 e il 1648, iniziata tra Stati(cattolici e protestanti) e motivata ufficialmente da ragioni di natura… “etica”(cosa infatti di più, in tal senso, di una questione di carattere religioso?).

La pace di Vestfalia(1648) è convenzionalmente e unanimemente ritenuta dagli storici la fine delle guerre di religione sul Vecchio Continente.

A ben vedere, la dottrina hobbesiana, seppure in apparenza… “cinica”, sembra viceversa orientata al raggiungimento di una pace che, al di là delle personali convinzioni di ciascuno sui molteplici aspetti del vivere comune, ponga come condizione “pratica”, irrinunciabile, insopprimibile, la autoconservazione della specie umana.

In sostanza, viene da pensare, questa necessità di autoconservazione parrebbe l’unica e sola esigenza potenzialmente, indifferentemente, universalmente avvertita e condivisa e, come tale, formidabile antidoto ad altrimenti irrisolvibili e pregiudizievoli situazioni di conflitto.

“Primum vivere, deinde philosophari”, per dirla sempre alla Hobbes (o Aristotele?) maniera.

Di qui, la occorrenza, per il Nostro, di sgomberare il campo da ogni motivazione, a iniziare da quelle etiche, che possa in qualche modo insidiare la pace – bene supremo, assoluto, da perseguire e custodire a ogni costo – e le sue autentiche finalità.

Comunque sia.

Per quanto è dato sapere, e a rischio delle dianzi accennate ricadute sui suoi Paesi membri.

È possibile mai che – chiamata a fare la sua parte sebbene senza alcun obbligo formale-giuridico – l’Unione europea paia non avere alcuna voce in capitolo su obiettivi strategici e tempi di conclusione di una crisi di tale gravità che, seppure attualmente senza “boots on the ground”, la vede schierata in prima linea?

Pure qui, quali i suoi scopi?

Sconfiggere, respingere la Russia?

Garantire la integrità della Ucraina?

Costringere Mosca a negoziare e in tale eventualità in cambio di cosa?

E ancora, in nome di…?

Si è indotti a ipotizzare che, si spera…, esistano in proposito piani, protocolli, informazioni inaccessibili, interlocuzioni, contatti segreti e quant’altro.

Ciò che pare nel mentre potersi asserire con una apprezzabile misura di attendibilità, è che, più la guerra si protrarrà nel tempo, più salato sarà il prezzo della pace.

Infine, in pillole.

Rapido ingresso della Ucraina nella Unione europea?

Senza una previa, adeguata soluzione dei motivi del conflitto in atto, potrebbe rivelarsi una scommessa rischiosissima.

Prima o poi, l’irrisolto potrebbe deflagrare con esiti imprevedibili.

Versailles docet.

Domande, nient’altro che domande, che può porsi una persona qualsiasi.

Aggravate dalla assenza di una delle condizioni ritenute essenziali da Hobbes, a difesa della pace, quando (ri)stabilita: il guardiano del rispetto delle regole degli accordi.

La N.A.T.O.?

Sia come sia, troppo di parte.

L’O.N.U.?

Ma dai…

Sugli schermi, nel mentre, scorrono impietose, senza posa, le immagini di atrocità sconvolgenti, inenarrabili, inaudite.

Di feroci, quanto gratuite stragi di esseri innocenti e indifesi, di violenze.

Nulla più di quanto non ci abbia ormai abituato una guerra qualsiasi?

“(…) Io chiedo come può un uomo

Uccidere un suo fratello

(…) Ancora tuona il cannone

Ancora non è contento

Di sangue la belva umana

(…) Io chiedo quando sarà

Che l’uomo potrà imparare

A vivere senza ammazzare

E il vento si poserà

E il vento si poserà”.

Ah!, bastasse una canzone…