di Antonio Corona

raid_isis“Intervenire per fermare l’esodo, da Siria e dintorni, delle popolazioni disponibili al dialogo e alla pacifica convivenza, ristabilendo le condizioni per consentire loro, autentici anticorpi al terrorismo, di continuare o tornare a vivere nei luoghi di origine. Così pure al contempo liberando quelle terre martoriate da un sanguinario autoproclamato Stato, deciso a intimorire e colpire ovunque, con la selvaggia violenza dei suoi fanatici seguaci sparsi per il mondo, quanti da esso ritenuti nemici o ‘infedeli’”.

Appaiono, questi, i possibili presupposti di una legittima quanto risolutiva azione militare internazionale.

Non manca peraltro chi, certamente animato dalle migliori intenzioni, nello spalancare le porte dei propri Paesi per accogliere quelle genti disperate in fuga(beninteso, purché d.o.c.g.…), non intravveda la occasione per rivitalizzare asfittici tassi di natalità.

Piuttosto, quelli nostrani?

Nel 1946, le nascite in Italia sono 1.039.432, per una popolazione residente di 45.540.000 individui.

Nel 2014, rispettivamente 502.596 e 60.795.612.

In poco meno di settant’anni, il tasso di natalità crolla dal 23‰ all’8,3‰.

Nel medesimo periodo, le morti rimangono sostanzialmente invariate, da 547.952 a 598.364: da metà che erano delle nascite, al sorpasso.

E con aspettativa di vita significativamente cresciuta, nonché decremento del tasso di natalità indigeno in parte bilanciato da quello degli immigrati.

A tale ultimo riguardo, nel 2011 i neonati italiani sono 463.511, quelli stranieri 69.480, ovvero, il 14,98%.

Degli attuali sessantanovenni, nati cioè nel 1946, 589.161 gli italiani, 7.237 gli stranieri, ossia l’1,22%.

Quest’ultimo dato è evidentemente rozzo e grossolano, nondimeno indicativo di un trend costante di aumento del numero dei nati stranieri rispetto ai locali.

Nel 2012, per dire, il numero di figli per donna riferito alle straniere è 2,37, alle italiane 1,29(!).

Comunque.

Tra il 1952 e il 1969, il tasso di natalità non scende mai sotto il 17,5‰, con punte del 19,7‰ nel 1964.

È dal 1970 che scivola invece inesorabilmente sotto quota 17‰, per arrestarsi solamente al sopra riportato 8,3‰ del 2014.

Sarebbe interessante appurare, per esempio, se, ed eventualmente in quale misura, la legge sul divorzio, entrata in vigore il 1° dicembre 1970, abbia di fatto segnato l’avvio, oppure abbia meramente costituito uno dei primi tangibili segnali, di un progressivo spostamento del baricentro delle attese e dei desideri comuni della gente dalla famiglia, e quindi dalla coppia e dai figli, a un “individuo” proiettato verso affermazioni, realizzazioni e soddisfazioni prima di tutto di, e finalizzate a, se stesso e relativo ego.

Una verifica del genere potrebbe altresì contribuire a porre nella giusta dimensione il “peso” che in proposito viene ordinariamente attribuito al fattore economico.

Dopo la crisi dei primi anni ‘70, contrassegnati dalla emergenza energetica, e nonostante gli anni di piombo e la crescita esponenziale del debito pubblico, il Paese ha infatti di nuovo vissuto una stagione di relativi crescita e benessere.

Eppure, si è detto, il tasso di natalità ha continuato comunque a decrescere.

Quello di fecondità(figli per donna) è passato, dal 1946 al 2014, da 3,01 a 1,39.

Se, in medio tempore, numeri siffatti lasciano prevedere un generale invecchiamento della popolazione, nel lungo periodo fanno presagirne addirittura la estinzione.

Senza “figli”, inoltre, si tende a smarrire la visione prospettica del futuro, dematerializzandolo in una miriade di anguste finitezze.

Può allora perdersi il senso e la voglia di progettare, finendo con il vivacchiare e dilapidare risorse e disponibilità nel recinto di solitarie avarizie ed egoistici appetiti.

Con (sembra) la Francia in moderata controtendenza(probabilmente in ragione di flussi “in entrata” dalle ex colonie), un ulteriore motivo di riflessione nella suesposta direzione può essere rappresentato dalla opulenta Germania, il motore d’Europa, inchiodata a un tasso di fecondità, nel 2012, dell’1,38.

Per porre rimedio al quale, Berlino si è professata pronta a iniezioni massicce di immigrati(previamente selezionati).

Azione militare, quindi?

Senza, si rischia di consegnare medio-oriente (e Libia) alla barbarie.

Non senza ragione, è opinione largamente diffusa la necessità di distinguere tra Islam moderato – peraltro connotato da indeterminati caratteri valoriali di riferimento, se non per il netto rifiuto della violenza armata, meglio se manifestamente proclamato – e terroristico o a quest’ultimo contiguo.

Posizione certamente condivisibile che tuttavia, ove “estremizzata”, può condannare alla inazione.

Vi è altresì chi sostenga che i tagliagole di oggi siano paradossalmente un prodotto dell’“Occidente”, incubato e generato in chiave anti-qualcosa/qualcuno, a un certo punto sfuggito al controllo.

Effettivamente, a forza di pretendere che a togliere dal fuoco le “proprie” castagne siano altri…

Come, insomma, sarebbe avvenuto in passato in Afghanistan con mujaheddin e talebani in funzione anti-sovietica e che, con le dovute differenze, pare si stia replicando oggi con i peshmerga curdi contro l’Isis(o Daesh, come preferirebbero quegli Arabi che contestano e avversano la esistenza stessa di uno “Stato” islamico dell’Iraq e della Siria).

Potendo, al netto di droni, joy-stick e altre diavolerie tecnologiche, per non sporcarsi le mani e non molestare bruscamente le coscienze, non si esiterebbe ad affidarsi a mercenari, resuscitando in salsa moderna remote Compagnie di ventura.

Per e nell’Occidente, il denaro vale molto, troppo.

Da pratico strumento di scambio di beni, a fine in sé agognato da molti, convinti che con esso si possa comprare qualsiasi cosa e che qualsiasi cosa sia in vendita.

I beni materiali, su tutto.

Le nostre, d’altronde, non sono società dei consumi?

Per fare girare la economia, non si cerca di stimolare proprio la bulimia consumistica?

Insomma, azione militare?

Probabilmente sì, ma con criterio.

Specie se stiano emergendo preoccupanti tensioni tra coloro che dovrebbero stare dalla stessa parte.

E, se possibile, sapendo quale sia l’obiettivo da conseguire.

Sconfiggere il nemico, per fare cosa?

Di sicuro, evitando vuoti di potere, che potrebbero essere altrimenti colmati come le cronache di questi tempi stanno tragicamente a riferire.

La Francia ne ha combinati di pasticci.

Nondimeno, guai a lasciarla sola e isolata in questo momento, come invece qualche anno fa è stato fatto da qualcuno riguardo gli Stati Uniti in Iraq.

Il jihadismo sembra si stia accanendo principalmente con Parigi.

Semplice caso o precisa scelta strategica?

Isolarla rispetto a un resto d’Europa, in alcune sue espressioni tanto ansioso di evitare impegni diretti che lo espongano al rischio di rappresaglie terroristiche?

Come riecheggia l’antico divide et impera

Si pensi se l’Isis dovesse intanto riuscire in qualche modo a fare abbassare le penne alla Francia, come è riuscito ad Hanoi con Washington in Vietnam…

Che trionfo sarebbe, che formidabile propaganda planetaria ne deriverebbe, quante entusiastiche adesioni alle bandiere nere susciterebbe.

Per poi dedicarsi all’obiettivo successivo.

D’altra parte, di che solidarietà concreta sarebbe capace l’Europa?

La Grecia, radice profonda e antica della civiltà occidentale, è stata a un passo dall’essere scaricata dalla Unione di pretesi benestanti e quindi graziata, ma a un prezzo(toh?!?) salatissimo.

Langue la ridistribuzione tra i Paesi dell’Unione, per quanto per quote contenute e condivise, delle folle di migranti che continuano ad approdare alle coste del Vecchio Continente.

…e l’Italia?

Doverose e condivisibili prudenza(specie con il Giubileo ormai imminente, benché Roma sia in ogni caso un obiettivo dichiarato; per le spese conseguenti a un impegno bellico; con una opinione pubblica interna incerta; per la possibile deflagrazione della compagine governativa e quant’altro), richiesta di un progetto politico per il “dopo”, ampliamento della coalizione, magari ricomprendendovi anche la Russia.

Con alcune avvertenze.

Piaccia o meno, per stare da protagonisti sulla scena mondiale, continua a occorrere anche una riconosciuta, e soprattutto dispiegata, capacità militare.

Quando – di questo passo, se mai accadrà… – la questione Isis(/Daesh) sarà stata finalmente risolta, si tireranno le somme ed è assai probabile che mancate partecipazioni attive saranno messe in conto.

Probabilmente è per tale motivo che un riluttante Berlusconi, tirato per la giacca da tutte le parti, si decise infine a mettere a disposizione le basi aree dell’“alleanza” nella sciagurata campagna di Libia, sebbene ciò non abbia tuttavia poi impedito un significativo ridimensionamento della tradizionale presenza di E.N.I. a favore di TOTAL.

È per altro verso indubitabile la importanza che, oggi, Tripoli e Tobruk rivestono per il nostro Paese.

E però: nel caso di nostro mancato, concreto impegno in Siria, saranno ben disposti, i partner europei, Francia in testa, nel considerare le richieste nostrane sul punto, o sulla elasticità nel rispetto dei parametri economico-finanziari?

Come dicevano i padri latini, che qualcosa ci capivano: do ut des…

A proposito, che fine ha fatto Bernardino de Leon, l’inviato dell’O.N.U., che ogni tre per due annunciava come per fatta la costituzione di un governo di unità nazionale in Libia?

Avviandoci alla conclusione.

Se si decida di partecipare all’impegno bellico, si dovrà andare fino in fondo, costi quel costi.

Capita, talvolta, che la testa del serpente debba essere schiacciata, rischiando di prendersi qualche morso.

Infine.

La iniziativa si assume o si subisce: martello o incudine.

Con l’auspicio di non ritrovarsi a essere il dito che ci finisce in mezzo.