di Leopoldo Falco
Amici del posto mi informano che, a Trapani, la tanto attesa proiezione dello sceneggiato televisivo Il Commissario Maltese ambientato in quell’angolo di Sicilia ha destato delusione.
Era noto che si proponeva una storia di mafia ambientata nei terribili anni ‘80 e che pertanto sarebbero state inevitabilmente ripresentate storie di particolare drammaticità, che avevano fatto temere in quel momento storico che la mafia avesse vinto la sua battaglia nei confronti dello Stato lanciando un segnale di arrogante supremazia.
Poi alcuni uomini straordinari che si sono posti in prima linea, anche accettando il sacrificio personale, e altri altrettanto coraggiosi che li hanno sostenuti, hanno invece creduto fortemente che quella battaglia andasse fino in fondo combattuta anche sul piano culturale, iniziando dai più giovani.
Il primo a comprenderlo e ad andare nelle scuole a raccontare che la mafia, contrariamente a quanto si voleva far credere, esistesse, e che tutti insieme la si doveva combattere, fu Rocco Chinnici, al quale oggi è dedicata un’associazione attivissima nel proseguirne l’opera e nel tramandarne l’esempio; poi il suo messaggio è stato raccolto da altri, molti dei quali purtroppo non sono più tra noi, che hanno dato straordinaria dimostrazione di civiltà, coraggio e amore per la propria terra.
E oggi posso nella mia piccola esperienza testimoniare che il clima è cambiato e che vi è una stragrande maggioranza di siciliani onesti che si vuol riprendere la propria vita e la propria terra operando una scelta netta di rifiuto della mafia e di quella particolare mentalità che ne ha consentito il radicamento.
Ciò detto, ci si chiede se abbia un senso riproporre un salto indietro nel tempo a quegli anni bui nei quali i paladini della legalità combattevano, spesso isolati, contro un nemico oscuro, purtroppo presente anche nelle Istituzioni, a volte eroicamente soccombendo.
Se abbia un senso oggi ricordare, non dico celebrare, quel momento storico così critico e quella presenza mortale, quel nemico invisibile eppure sempre incombente.
Come se il messaggio di un mondo senza speranze fosse sempre più incisivo e mediaticamente vincente di quello, reale, di una realtà che invece cambia e vede prevalere una nuova cultura con l’affermazione non solo delle Istituzioni, ma di una intera comunità che si ribella a quel giogo.
Perché non è giusto, come efficacemente ho sentito dire dagli amici di Libera, che cinque milioni di siciliani onesti debbano essere tenuti in pugno da non più di cinquemila mafiosi e loro affiliati.
Lo sceneggiato ha reso omaggio alla bellezza dei luoghi alternando però visioni di grande luce – la straordinaria luce di Trapani – ad altre cupe, girate in ambienti chiusi e spesso relative a circostanze drammatiche, volendo proprio evidenziare il contrasto di quel chiaroscuro, di quell’inferno in un paradiso naturale.
Ha proposto, accanto a un Commissario bello e puro, quasi costretto da motivazioni ideologiche e familiari a rientrare da Roma nella natia Trapani, una serie di rappresentanti locali delle Istituzioni molto sofferti, per lo più onesti, ma culturalmente discutibili e sempre attanagliati da quel sospetto reciproco che tuttora purtroppo pervade spesso la vita dei trapanesi quasi condannati a non fidarsi di nessuno, perché anche dietro chi appare paladino della legalità può nascondersi il mostro, l’insospettabile che si è venduto alla mafia.
E ovviamente il “grande corrotto” era infine un personaggio istituzionale di vertice, di quelli che dovrebbero rappresentare una garanzia per il cittadino: a ribadire che invece lì, in quella terra maledetta, non bisogna fidarsi di nessuno. Anzi, non si deve nutrire alcuna speranza.
L’esito dello sceneggiato mi è stato raccontato, perché non sono riuscito a vederlo fino in fondo.
Penso che quei trapanesi onesti e accoglienti che ho conosciuto meritino molto di più.
Sia perché, in nome della verità, a fronte di questa macchina del fango che ancora una volta si vuole attivare perché fa sicura audience, è doveroso un netto distinguo, rappresentando la realtà nella sua dimensione completa e reale; sia perché non si può cancellare e sottacere tutto quanto è stato fatto per modificarla profondamente, come è avvenuto, con grande sofferenza e il sacrificio di molti.
E invece si deve continuare a riproporre quel messaggio di morte, quasi a memento di quello che è stato e, per fortuna, ora è in parte un ricordo.
Ero tra quei trapanesi che accolsero circa un anno fa la troupe televisiva sperando che anche quelle rievocazioni, se operate correttamente, potessero comunque favorire la promozione di un territorio che oltre a grandi bellezze e potenzialità, ha forti valori e idealità, e vuole crescere e proporsi nella sua reale dimensione.
Un territorio nel quale si è combattuta una guerra che fa onore a molti e che di recente ha dato straordinaria prova di sé svolgendo un ruolo da assoluto protagonista nell’accoglienza ai migranti, vissuta con un impegno e un sentimento di straordinaria civiltà. Direi, di superiore civiltà.
Ma ancora una volta abbiamo dovuto riscontrare quella pervicace volontà di rappresentare solo il male perché solo quello fa notizia, anche a costo di calpestare la verità dei fatti e raccontare un’altra storia…
Vorrei dunque ricordare un episodio che ho vissuto che ritengo emblematico di quanto sto sostenendo.
Nello sceneggiato viene assassinato dalla mafia un coraggioso giornalista che per il nome, Mauro, e altre caratteristiche personali rievoca Mauro Rostagno, trucidato dalla mafia nel 1988.
Rostagno era un uomo illuminato, certamente culturalmente in anticipo sui tempi, che si era innamorato di Trapani per cui dalla natia Torino era venuto a combattere lì quella battaglia di civiltà e legalità.
Era intelligente, coraggioso, intraprendente, non rispettoso delle gerarchie, meno che mai di quelle “sospette”. Alcune sue interviste ed esternazioni ci appaiono oggi esemplari e di una lucidità impressionante.
Una bella persona, che raccolse consensi e guidò una piccola rivoluzione culturale. Ebbe il supporto e l’amicizia di quelli che ebbero fiducia in quel giovane e originale giornalista vestito di bianco.
Per molti rappresentò una speranza.
Le sue analisi e denunce dettero fastidio svelando possibili collusioni; non aveva protezioni e fu assassinato, come riproposto nello sceneggiato, mentre alla guida della sua vettura rientrava nella struttura di sostegno alle tossicodipendenze che aveva attivato.
Oggi, a distanza di quasi 30anni, la Comunità “Saman” da lui fondata, è pienamente attiva ed è guidata da Gianni di Malta, suo grande amico, che ne ha fatto la missione di una vita.
Da Prefetto di Trapani sono stato invitato a visitare la nuova sede dell’associazione situata in un appartamento confiscato alla mafia: non un luogo qualunque, bensì l’abitazione del boss Vincenzo Virga, oggi assicurato alle patrie galere, che aveva ordinato l’eliminazione di quello scomodo giornalista.
Gianni di Malta ha collocato la sua scrivania in quella che era la stanza da letto dell’assassino e alle sue spalle campeggia una grande foto sorridente di Mauro, nel suo inconfondibile abito bianco con panama.
Ci ha detto che gli era sembrato giusto collocarla proprio lì, a testimonianza che vi è un male che muore e un bene che vince. Un bene che vive e continua a operare pel tramite di tanti altri che hanno compreso e condiviso quei valori.
Il Presidente del Tribunale delle Misure di Prevenzione di Trapani, lo straordinario dott. Piero Grillo, che era con me, commentò la nostra presenza in quel luogo e in quell’atmosfera da brividi dicendo che eravamo un po’ degli esorcisti: ma l’esorcismo era già avvenuto e lui aveva decisamente fatto la sua parte.
Soprattutto, 28anni dopo, Mauro Rostagno era lì e quel suo sorriso sembrava esprimere una gioia profonda. Una gioia viva.
Gianni di Malta mi disse che per lui era un’emozione ogni giorno sedersi a quella scrivania. Ed uno stimolo grande sentire alle sue spalle la presenza del suo vecchio amico.
Perché in quella difficile terra il bene può vincere e certi eroi vanno ricordati perché loro, comunque, hanno vinto.
Racconto questa storia perché non è vero che solo la celebrazione del male fa notizia: abbiamo bisogno di verità e di esempi, quali quelli di chi fortemente ha creduto in dei valori, si è generosamente sacrificato per tutti e alla fine ha comunque vinto la sua battaglia.
E continua a vivere e operare grazie ad altri uomini e donne per i quali ha rappresentato una guida e un esempio.
Grazie Gianni, grazie Mauro.
Vi voglio bene.