di Maurizio Guaitoli
Che cosa dice il mainstream(opinione dominante) a proposito dei social network? Fanno bene alla democrazia o ne costituiscono un pericolo mortale? Amplificano a dismisura l’autismo gruppale, o sono lenitivi della solitudine e dello spleen dilaganti?
Partiamo dal Russiagate trumpiano, per capirne qualcosa di più.
Stando a rilevamenti recenti, soltanto poco più di un terzo degli americani (e noi Italiani?) sono propensi a prendere per buona l’informazione attinta dai social media, mentre al contrario la grande maggioranza tende a dare più fiducia a quotidiani e periodici tra i più diffusi e quotati. Non vi è dubbio che gli esseri umani abbiano necessità di tempi adattativi anche piuttosto lunghi, rispetto alle novità le più sconvolgenti, come il doping quotidiano da Internet e dell’immanenza della Rete nella vita quotidiana di tutti noi. Tuttavia, quando come oggi i cambiamenti tecnologici sono di gran lunga più veloci di qualsiasi adattamento al cambiamento, allora l’opinione pubblica può essere irrimediabilmente danneggiata dalle scelte demagogiche di governanti e politicanti, tenuto conto che ai social sono difficilmente applicabili le vecchie regole valide per il controllo dei media tradizionali(tv e radio).
Chiedere alla varie piattaforme, come Fb, Twitter, etc., di monitorare e filtrare ogni tipologia di messaggistica significa, in realtà, conferire loro un indesiderabile potere di indirizzamento e di condizionamento di massa. La politica non è un discorso qualunque e occorre evitare il rischio di conferire a qualche colosso mediatico il potere di stabilire ciò che sia un bene o un male per l’intera società. Certo, è lecito chiedere trasparenza sui soggetti inserzionisti, ma non basta: la maggior parte dell’influenza negativa deriva dal fatto che milioni di persone condividono post e messaggi di dubbia o scarsa credibilità, senza alcuna verifica preliminare da parte loro sui relativi contenuti. Mettere le redini alle major mediatiche non può essere di alcun aiuto per quanto riguarda materie riservate alla politica, avendo un senso soltanto in termini di antitrust. Ma, anche qui, c’è da notare come restringendo troppo il campo della concentrazione dei media si rischi una proliferazione delle piattaforme e, ancora di più, uno scarso o nullo controllo sui loro contenuti.
Altri rimedi, invece, appaiono più efficaci, come quello di imporre alle grandi company social-mediatiche di tracciare l’origine di un post, specificando se proviene da un amico o da una fonte affidabile e certificata. Inoltre, tenuto conto della risonanza dell’effetto moltiplicativo, è opportuno che, in automatico, la condivisione di un post sia accompagnata da una sorta di reminder sul carattere lesivo di una informazione non veritiera o manipolata. Ancora più efficace sarebbe il potenziamento degli algoritmi per mettere fuori gioco il così detto clickbait, ovvero quei contenuti internet il cui scopo principale è di stimolare gli utenti a selezionare un determinato link che rinvia a una prefissata pagina web. Questo tipo di strumento è finalizzato a sfruttare il così detto curiosity gap(curiosità latente), fornendo un’informazione strumentale per interessare il lettore, ma non sufficiente a soddisfare interamente la sua curiosità senza dover attivare il link suggerito. Tuttavia, poiché la fissazione di vincoli restrittivi a strumenti del tipo clickbait ha riflessi importanti sul modello di business, configurato per monopolizzare l’attenzione dell’utente, le modifiche richieste devono essere imposte per legge o attraverso regolamenti di settore.
La domanda strategica da porsi è, tuttavia, la seguente: possono i social “bots”(segmenti di software che eseguono in automatico azioni complesse) influenzare gli esseri umani che utilizzano le piattaforme dei social media, com’è successo per le elezioni presidenziali americane del 2016?
C’è da dire che dal 2012 in poi, grazie agli investimenti del marketing online, i realizzatori di bots lavorino moltissimo per generare personaggi virtuali credibili che, spesso, hanno una presenza molto consistente su di una molteplicità di siti e sono in grado di influenzare i comportamenti di migliaia di persone. I social bots appaiono sempre più credibili come persone reali e, quindi, hanno la capacità di alterare effettivamente il flusso delle informazioni grazie alle seguenti caratteristiche: innovazione incessante, per simulare attraverso software sofisticati il linguaggio naturale; incremento della capacità computazionale dei computer; facilità ed economicità di accesso ai dati. Nell’ultimo quinquennio, questa tipologia di utilizzo dei bots ha trovato applicazione all’interno della comunicazione politica: questi strumenti possono essere impiegati per far sì che i personaggi politici e le loro idee appaiano più popolari di quanto lo siano in realtà; ovvero per montare attacchi su larga scala contro l’opposizione.
Ci sono ottime ragioni per ritenere che i bots siano stati deliberatamente iniettati nei social media per supportare nel 2016 campagne di discredito presso l’elettorato, attraverso la diffusione massiva di fake news in grado di ingannare gli algoritmi che valutano le tendenze in atto nell’opinione pubblica. Recenti ricerche suggeriscono che gli addetti ai lavori per l’avvio della prossima propaganda elettorale digitale di midterm, in quest’anno, stiano focalizzando la loro attenzione su specifiche sotto aree della popolazione statunitense e delle loro rappresentanze territoriali negli Stati-chiave. Più questi attacchi saranno mirati, sul modello del targeting psicografico(disciplina che studia il comportamento dei consumatori in relazione alle loro opinioni, interessi ed emozioni), maggiore sarà il loro impatto sui risultati elettorali.
Se è vero che le piattaforme dei social media sono in grado di tracciare e segnalare comunicazioni politiche strumentali di matrice estera, vorranno davvero comportarsi allo stesso modo per divulgare informazioni su attività promozionali pervasive e personalizzate da parte dei loro clienti politici nazionali?
Va da sé che questa sia una questione della massima importanza, dato che i social bots sono destinati a divenire nel tempo sempre più sofisticati, persuasivi, empatici e personalizzati.
Questi strumenti non solo saranno in grado di diffondere informazioni su di un’area vasta, ma sapranno conversare normalmente e potranno persuadere gli interlocutori umani interferendo con grande efficacia sulla loro sfera emotiva.
Quindi: che cosa dovremmo fare noi oggi per impedire a questo tipo di tecnologia di andare fuori controllo?
Una possibile soluzione è aggregare flussi multipli di dati, rendendoli il più possibile trasparenti avvalendoci dei migliori strumenti computazionali di cui disponiamo, per scoprire i modelli sottostanti(utilizzati per gli attacchi) e registrare i segnali del cambiamento. Dopo di che, occorre mettere i dati così ottenuti a disposizione di specialisti ed esperti di settore, incluse le aziende ad alta tecnologia, i dirigenti politici e i cittadini per renderli edotti dei bot attack a sfondo politico e di altre campagne di disinformazione su larga scala prima che queste ultime siano messe in atto. Spero che i colleghi abbiano afferrato i rischi molto seri che corrono le istituzioni democratiche, una volta in balia di una Technè del tutto fuori controllo.
Un’ultima nota tecnica la riserverei a quello che viene definito come Techlash(termine coniato dal periodo inglese The Economist), ovvero il rischio concreto di demonizzazione, da parte di utenti, lavoratori e consumatori, nei confronti della Technè industriale e delle Aziende della Silicon Valley in testa a tutti, che guadagnano oggi somme favolose pari a quelle della finanza internazionale e dell’industria petrolifera, che già si sono meritate l’odio imperituro di buona parte della popolazione mondiale. Lìargomento non è di lana caprina, dato che coinvolge il funzionamento futuro delle nostre società, in cui centinaia di milioni di individui e le loro organizzazioni rischiano seriamente di perdere il lavoro. si pensi al futuro delle auto senza pilota, oggi già realtà.
Quanti milioni di posizioni lavorative(compagnie di taxi, autisti, etc.) saranno messe fuori gioco grazie alle App e al software di Google?
Perché va detto che, in generale, quando vengono immesse sul mercato tecnologie fortemente innovative le persone sono molto propense ad avvalersene, salvo poi subirne nel tempo i devastanti contraccolpi sociali e occupazionali.
In un esperimento nelle strade di San Francisco si è visto che i passanti erano tre volte più favorevoli ad accettare una bevanda da un robot, piuttosto che da un umano.
Moltiplicate il tutto per numero esponenziale di possibilità simili e vedrete in un solo decennio cambiare il mondo attuale in un modo e con una velocità che non si erano mai visto in precedenza.
Sed…: Hic Rhodus, hic salta!