di Leopoldo Falco
La partita Juventus-Napoli, come purtroppo spesso accade, ha generato una scia di polemiche che non sarà facile ricomporre e che potrebbe avere pericolose ripercussioni sulle prossime partite, prime tra tutte quelle che contrapporranno nuovamente a Napoli le due squadre.
Ovviamente il dibattito si è incentrato sull’operato dell’arbitro che ha scontentato i napoletani, in particolare per la mancata concessione di un rigore a molti apparso solare.
Arrigo Sacchi, indiscusso maestro di calcio, coerentemente con quanto sempre affermato, ha osservato che lamentarsi dell’operato arbitrale è da mediocri e che si deve rivolgere l’attenzione alla qualità del gioco espressa dalla squadra piuttosto che agli episodi: posizione questa che va doverosamente condivisa, perché, ferma restando la buona fede e la competenza degli arbitri, i loro errori fanno parte del gioco, anche quando possano modificare l’esito di una partita.
Ma nel caso specifico ciò che ha avvelenato la polemica è stato non tanto la direzione arbitrale, quanto il successivo commento televisivo della Rai, apparso a molti non obiettivo e addirittura provocatorio.
Il tema della corretta informazione ritengo meriti una riflessione, perché, se è scontato che gli arbitri possono sbagliare e un rimedio sembra essere un maggiore ricorso alla tecnologia, di cui si parla da tempo e che ritengo auspicabile, per quanto riguarda l’informazione sportiva credo che certi eccessi vadano censurati e che tutti debbano essere invitati a tenere comportamenti più rigorosi e responsabili.
Come noto, avendo il “calcio parlato” grande audience, sono proliferate le trasmissioni in cui si assiste, più che a un commento sulla parte tecnica e sui valori espressi in campo, a interminabili discussioni sugli episodi più controversi: questa tendenza ha già fatto danni, contribuendo ad avvelenare il clima e a generare rancori prodromici di violenza. E la frequente presenza di opinionisti di spessore non consente purtroppo di distogliere l’attenzione dalla analisi dei singoli episodi, che alimenta polemiche e fa perdere di vista una lettura qualificata della partita.
Capita spesso che quelli che possiamo definire maestri di calcio, che ci aiutano a cogliere la bellezza del gesto sportivo e ci evidenziano come la giocata del fuoriclasse sia al servizio di schemi di gioco che nulla lasciano alla improvvisazione e sono in continua evoluzione, vengano a volte trascurati per lasciare spazio ad altre figure di commentatori che, con la loro esuberanza, spostano il dibattito su piani meno elevati, nella errata convinzione che quel tipo di interventi faccia audience.
Tra questi commentatori vi è quello “tifoso” la cui faziosità è manifesta, che prende “goliardicamente” le parti della propria squadra: a costoro non si richiede né obiettività, né qualità di commento, quanto folklore e passionalità espressa anche con modalità clownesche. Deve fare spettacolo e rappresentare il tifoso più sfegatato, un po’ anche facendone la parodia: ovviamente non esprime un modello sportivo, ma a volte stempera nei dibattiti i momenti di tensione e quindi può rappresentare un antidoto alla contrapposizione violenta e rancorosa.
Non si deve però discostare da questo profilo un po’ ignorante, un po’ giocoso, in quanto gli deve essere consentito di esprimere, anche straparlando, la sua passione di tifoso, ma non di attaccare le altre squadre, in quanto in tal modo la sua performance celerebbe veleni che non sarebbero accettati.
Certamente più dannosa nei salotti sportivi è la presenza dei polemisti, ovvero di quei personaggi che tendono a ritagliarsi uno spazio e vengono appositamente chiamati e lautamente pagati, per esprimere non una opinione, ma degli attacchi mirati e strumentali nei confronti di qualcuno a cui manifestano sistematica e chiara ostilità.
Pare purtroppo che queste provocazioni, e le risse verbali che ne derivano, che a volte trascendono in ingiurie anche gravi, facciano audience: non mi sembra che vi sia coscienza della gravità di questi eccessi, né ritengo avvenga che chi di dovere sia chiamato a responsabilità delle spirali di odio che ne derivano tra le frange di tifo più estreme, che possono degenerare in violenze.
In realtà il polemista pagato per attaccare qualcuno, ledendone l’onorabilità o comunque procurandogli danno, è purtroppo un segno dei tempi: propone solo critiche distruttive e rancorose, facendo leva sul generale stato di malessere e di sfiducia nelle Istituzioni e rivolgendosi alla pancia dei telespettatori strumentalizzandone sofferenze e frustrazioni.
Nei confronti di questi cialtroni, e di chi li sovvenziona, devono essere intraprese iniziative severe, per impedire loro di soffiare sul fuoco delle rivalità sportive allo scopo di incendiare le platee: deve in particolare essere condiviso un codice etico che bandisca questi interventi chiamandone i responsabili a risponderne.
Ma il simbolo di potere più forte è oggi la moviola, che deve essere gestita con obiettività e prudenza ed essere affidata al commento di professionisti di comprovato spessore etico e professionale.
Ricordo Carlo Sassi, il primo moviolista: aveva un approccio di assoluto rigore e limitava i commenti alla sola evidenza delle immagini; appariva solenne e quasi triste, come se quel ruolo gli richiedesse di scomparire come persona, quasi di essere elemento, sola voce, di quello strumento che introduceva un dibattito, all’epoca coraggioso, allo scopo di rappresentare una verità che non intendeva delegittimare la classe arbitrale, quanto piuttosto eliminare sospetti e proteste, dimostrare che si poteva riscontrare gli episodi proprio perché si dava per scontata la buona fede e la competenza degli arbitri.
Anche scongiurando scorrettezze di gioco che sarebbero state svelate e pubblicamente condannate.
Poi le moviole sono diventate numerose e, per quanto per lo più affidate a ex arbitri che hanno portato nel commento il peso della loro esperienza e conoscenza dei regolamenti, sono state gestite in maniera più disinvolta, dando spazio a critiche anche non necessarie e ad affermazioni a volte non condivise dagli stessi altri commentatori presenti in studio.
Per cui anche il “sacerdote” della verità della moviola è divenuto in alcuni casi un protagonista spregiudicato e un po’ vanitoso, che a volte ha contribuito a delegittimare la classe arbitrale evidenziandone severamente gli errori anche per decisioni “al limite” per le quali andrebbe riconosciuto un minimo di margine valutatorio.
Comportamenti così diversi da quelli del sobrio e inappuntabile Carlo Sassi…
È evidente che la moviola vada gestita con rigore, perché se si alimenta il sospetto che sia utilizzata strumentalmente, si viene a mettere in forte dubbio la obiettività dell’informazione resa.
Il tema è dunque ancora una volta quello della credibilità, in un Paese che ha un disperato bisogno di credere nelle Istituzioni e nella loro capacità di garantire il rispetto di regole uguali per tutti: mettere in dubbio la buona fede arbitrale, e peggio ancora la veridicità dell’informazione, significa seminare sconforto e turbamento attentando a questa esigenza di giustizia e di pulizia.
È evidente che qualcosa non ha funzionato nel commento reso dalla RAI alla partita Juventus- Napoli, laddove è sembrato a molti che l’analisi alla moviola condotta da Mario Sconcerti fosse a senso unico, quasi punitiva verso chi lamentava dei torti e che, in particolare, vi fosse una reticenza a mostrare l’episodio-chiave della mancata concessione del rigore in favore del Napoli, dal quale era scaturito il veloce contropiede che aveva portato al secondo rigore in favore della squadra bianconera.
Ed è apparso a molti che quella reticenza, motivata con la mancanza di immagini adeguate e chiarificatrici, fosse sospetta in presenza di numerose telecamere che avevano ripreso tutti gli altri episodi.
Ne è scaturito un dibattito velenoso sulla parzialità della trasmissione, sulla obiettività dell’informazione resa, su una asserita sudditanza psicologica, o addirittura posizione di asservimento a poteri forti di un servizio pubblico come la Rai.
Ritengo, al di là dello specifico episodio, per il quale la Rai ha disconosciuto ogni responsabilità, che tutti si debba fare un passo indietro, perché è evidente che sia grave e destabilizzante mettere in discussione la attendibilità dell’informazione sportiva che deve essere garantita, sia per l’impatto che ha sulle tifoserie, sia perché deve educare i giovani ai valori etici dello sport.
Valori che vogliamo improntino la vita dei nostri figli: perché lo sport è maestro di vita e se domani gli attuali ragazzi non saranno tutti campioni, dobbiamo auspicare che saranno comunque campioni e sportivi nella vita, avendo imparato a competere lealmente, ad accettare le sconfitte sapendone analizzare i motivi, a riconoscere i meriti dell’avversario, a sapersi sempre rialzare e ripartire.
Lo sport è e deve essere questo e il tifo per la squadra del cuore deve essere una passione che accompagna per la vita ma sempre vissuta nel rispetto di questi valori e degli altri, avversari e mai nemici.
Per questo dobbiamo dare spazio agli uomini di sport, a coloro che nell’attività sportiva come nel commento incarnino questi valori e ne rappresentino testimonianza viva: loro sono bandiere di tutti, costituiscono un patrimonio comune che unisce nell’amore per lo sport le diverse anime e tifoserie.
Hanno sempre qualcosa da insegnarci, tanto sul piano tecnico che su quello etico.
Per difendere qualcosa che ci è molto caro e che deve rimanere bello e credibile anche per i nostri figli, operiamo dunque una decisa scelta di campo e contrastiamo fermamente quella deriva.