di Antonio Corona*

Resta…

Resta il dolore, il dolore immenso dei familiari, degli amici di quanti, in quel resort, erano andati per trascorrere insieme qualche ora in letizia, mai immaginando che invece, di lì a poco, in quello stesso resort, avvolta stavolta in un candido mantello, una implacabile Signora avrebbe mietuto il suo quotidiano raccolto.

Resta lo sguardo disorientato, lo sguardo disorientato di quei bimbi che, emersi quasi miracolosamente dall’ammasso di rovine, sono scampati alla tragica fine viceversa toccata in sorte ai loro genitori.

Resta l’urlo straziante, l’urlo straziante alla lettura della sentenza, “Ingiustizia è fatta!”, destinato a riecheggiare per un tempo infinito nella testa di ciascuno di noi.

Resta lo sbigottimento, lo sbigottimento di coloro che hanno atteso invano che trovassero conferma, in quel responso, nomi e cognomi peraltro associati troppo presto alla responsabilità dell’accaduto.

Resta il coraggio, il coraggio del magistrato che ha saputo non farsi travolgere, per quanto umanamente comprensibili, dalle pressioni e dagli umori della piazza, per arrendersi solamente alle conclusioni che la testa e la coscienza di uomo del diritto gli imponevano di trarre.

Resta…

Restano i sei lunghi, interminabili anni di angoscia degli accusati, esposti al pubblico ludibrio, costretti quasi a nascondersi come prede in fuga durante una battuta di caccia.

Sei anni di chi troppo presto sia stato offerto, e si sia sentito, da immolare a vittima compensatrice di un disastro cui taluni non si vogliono rassegnare.

Vinti, vincitori?

Né vinti, né vincitori.

Né, certamente, tra coloro che hanno difficoltà ad accettare un verdetto che pensavano assai diverso.

Né tra coloro che, ora, possono, magari soltanto per un attimo, tirare con sollievo il fiato.

E non perché la vicenda, trattandosi per ora e pur sempre di una sentenza di primo grado, sia ben lungi dall’essersi conclusa.

Ma, semplicemente, perché il dolore merita rispetto.

Un dolore che, se sarà chiamato a farlo, dovrà infine prendere atto della ineluttabilità e della imperscrutabilità del fato.

Chi scrive, ha ancora bene impressi nell’animo i sentimenti suscitati da quel tragico evento.

Non ultimo, in quanto verificatosi ad appena qualche chilometro dal confine della provincia, Chieti, nella quale all’epoca assolveva ai propri compiti.

Intervistato “a caldo”, già in quei momenti si sentì di esprimere pubblicamente piena solidarietà al collega pescarese, rappresentando tra l’altro come, nelle condizioni date, si sarebbe probabilmente comportato allo stesso modo: come in effetti ebbe a procedere nei riguardi di una nutrita studentesca recatasi a sciare e, per le abbondanti nevicate, invitata poi a rimanere al sicuro in albergo in attesa di condizioni che ne permettessero la evacuazione in tutta sicurezza, come poi avvenne.

E che, da allora, non ha mai smesso di aggiornarsi con viva trepidazione sugli ulteriori sviluppi della vicenda che qualche breve considerazione di carattere generale la suggerisce.

Molto schematicamente e in estrema sintesi, il sistema di protezione civile nostrano, pure nella configurazione ribadita dal d.lgs n. 1/2018, è organizzato intorno al principio di sussidiarietà, che coinvolge già il semplice individuo fino a investire progressivamente, in ultima istanza, gli organi centrali.

In ossequio a tale principio, il C.C.SS.(Centro Coordinamento Soccorsi della Prefettura), quando attivato, interloquisce con le Amministrazioni/Enti infra-provinciali, in particolare i CC.OO.CC.(Centri Operativi Comunali), e assume il coordinamento dei soccorsi quando le Amministrazioni/Enti competenti e richiedenti non siano in grado di provvedervi autonomamente.

In linea teorica, dunque, e per quanto qui di immediato interesse, le richieste di aiuto di singoli cittadini vanno inoltrate al C.O.C. del rispettivo Comune che interverrà direttamente o, nel caso dianzi richiamato, interesserà la Prefettura(C.C.S.) per quanto di competenza, compreso l’eventuale interfacciamento con i livelli superiori.

Richieste comunque diversamente pervenute, andranno dunque di norma tempestivamente reindirizzate al C.O.C. competente.

Le priorità di intervento.

Lo scrivente, nella sua veste istituzionale, qualche tempo fa, in esito a una fase di approfondimento condivisa – invero, un po’… riottosamente – con i Comuni della provincia, aveva prospettato, ai competenti Uffici centrali, la possibilità di prevedere che le richieste di intervento alle Prefetture da parte dei Comuni medesimi fossero corredate da una indicazione della ritenuta priorità, allegando altresì in proposito una ipotesi di Scheda raccolta informazioni.

Per l’evidenza della sua finalità, non ci si sofferma ulteriormente sulla iniziativa in parola se non per rammentare a se stesso la sua assai tiepida… “valutazione”.

Infine.

Le Prefetture provvedono alla complessa redazione e all’aggiornamento periodico dei piani di emergenza esterna delle industrie a rischio di incidente rilevante.

In sede di conversione del d.l. n. 113/2018 in l. n. 132/2018 – e a mente del successivo d.P.C.M. 27 agosto 2021, recante Approvazione delle linee guida per la predisposizione del piano di emergenza esterna e per la relativa informazione della popolazione per gli impianti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti – detta pianificazione è stata prima estesa agli impianti, appunto, di stoccaggio e trattamento rifiuti; quindi, resa da completare entro un anno dal ricevimento, da parte del gestore, delle informazioni relative all’impianto.

Una pura, autentica follia, si permetta.

A differenza di quelle necessarie per le suddette imprese “a rischio”, infatti, si tratta di decine e decine, se non di centinaia di pianificazioni da realizzare per provincia.

E ciò al di là di ogni possibile ponderazione del rapporto tra tempi/impegno – che tenga altresì conto della numerosità delle Amministrazioni coinvolte – occorrenti a tali fini e loro concreta utilità.

Benché abbia carattere meramente ordinatorio, se, a termine ormai scaduto per la loro redazione e fatti i debiti scongiuri, dovesse accadere qualcosa…

Sorge spontanea la domanda: ridotte come sono sul territorio le Prefetture – in grado sì e no di sopportare gli attuali carichi di lavoro per le note carenze di personale, delle quali sono afflitte e destinate ad aggravarsi ulteriormente per i continui pensionamenti ecc. – proprio sicuri che se ne avvertisse il bisogno?

Sarebbe veramente interessante conoscere i risultati di una rilevazione che si disponesse presso le Prefetture per conoscere lo stato dell’arte.

Viene nondimeno da chiedersi a quando la istituzione di un organismo, in sede centrale, che stabilisca, tenendo conto degli effettivi sostenibilità e ordine di priorità, le richieste di adempimenti da potere inoltrare alle Prefetture, sottraendole così alla bulimia “autistica” da prestazione, o unicamente inconsapevole, dei vari Dipartimenti e Uffici centrali.

Resta…

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi