In principio era il potere(assoluto)…
Se mai venisse a qualcuno la malaugurata idea di scrivere qualcosa sull’argomento, probabilmente dovrebbe
iniziare all’incirca così.
Se poi, senza starci a girare troppo intorno, si volesse invece saltare direttamente alle conclusioni, il coordinamento potrebbe essere definito come un disperato tentativo di porre rimedio al caos prodotto dall’autentico big bang che ha sconvolto il potere.
Coordinamento, ovvero azione volta a conferire uniformità e coerenza a organi che operano in assenza di rapporti gerarchici, al fine di garantire l’unitarietà della struttura organizzativa in attuazione dei principî costituzionali di autonomia e decentramento.
Una definizione senz’altro generica ma più che sufficiente ai fini di queste poche, sgangherate righe, prodotte da un (ex) prefetto(di campagna).
Maggiormente interessante, piuttosto, è chiedersi da dove scaturisca l’esigenza del coordinamento e, al contempo, come mai il coordinamento stia progressivamente prendendo il posto del “comandare”(/disporre), nonché quale possa essere il suo destino.
Appare infatti sostenibile asserire che, a causa del big bang di cui sopra, il potere(assoluto) – che ben si raccorda con il comandare(/disporre) – sia letteralmente esploso e, similmente a quanto sta avvenendo nello spazio per le galassie, i suoi frammenti sono stati o sono tuttora in movimento a fini di definitiva collocazione.
Per essere più chiari, il potere, dapprima assoluto, ha subito e sta subendo qualcosa di simile all’universo, che si suppone in principio come un unico “monolite”, successivamente deflagrato in innumerevoli parti in attuale, costante espansione e distanziamento tra di loro.
Senza soffermarsi su tutte le volte nelle quali il processo in parola possa essersi già ripetuto nella storia, e restando perciò a tempi
relativamente recenti, il timore di ripiombare negli incubi che hanno avvolto l’intera umanità nel decorso secolo breve, ha indotto (senz’altro almeno) il nostro Paese a dotarsi di un ordinamento che scongiurasse la possibilità del ripetersi di regimi dispotici.
Sarebbe dunque con la fine del fascismo
– o, se si preferisca, con il varo della Carta costituzionale – che può farsi coincidere il verificarsi del big bang in narrativa.
Che però non si è limitato al solo spacchettamento classico del potere(/assoluto) in legislativo, esecutivo e giudiziario, in posizione di reciproca autonomia e indipendenza.
Anzi, da allora si è viceversa assistito a una tale parcellizzazione che, oggi, è opinione diffusa l’essere ormai diventato assai defatigante prendere e attuare una qualche decisione (non soltanto) di rilievo.
Tant’è che, in nome di una invero singolare idea di pluralismo, pervasa da un relativismo asfissiante – che lo scrivente, su queste stesse colonne, ha avuto modo in passato di definire quale malattia infantile della democrazia – per assumere (sempre che ci si riesca…) una qualsiasi determinazione, bisogna stare a mercanteggiare praticamente con… chiunque.
Comunque sia, potrà obiettarsi, il coordinamento corrisponde meglio a un archetipo di “decisionismo(?) democratico”, praticamente assente in organizzazioni fortemente gerarchizzate, ove siffatta declinazione (del decisionismo) è tutt’al più rimessa alla sensibilità personale e alla apertura di vedute del singolo detentore(del potere).
Potrà altresì legittimamente osservarsi che il rovescio della medaglia di ogni sistema democratico è costituito dalla “fatica” di ottenere ogni volta il libero consenso dei diversi attori(co-protagonisti, per quanto sostenuto) in luogo della tradizionale imposizione a tutti del volere di uno(o di alcuni al medesimo riconducibili).
Per dirla come ebbe a sentenziare Winston Churchill, “(…) la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Rimane però che, in un sistema democratico, la valutazione dell’operato di coloro chiamati ad amministrare il potere dovrebbe essere espressa dal corpo elettorale, unico titolare della sovranità, il cui orientamento verso l’una o l’altra parte tuttavia non è stato sempre considerato, a esso preferendo, certamente con le migliori intenzioni, la costituzione di esecutivi cc.dd. “tecnici”.
È ancora più pregnante siffatta considerazione se, alla domanda di quale sia l’interesse pubblico in gioco nelle concrete situazioni, e quali le relative modalità di realizzazione, si dovesse rispondere, come peraltro accade, non con una sola, univoca risposta.
Ogni questione può diventare quindi di respiro politico e (conseguentemente) dirimente la legittimazione alla potestà di decidere.
Sia come sia, ci si è a tal punto… incartati che, per realizzare un qualsivoglia intervento, sovente il modello ideale è quello del… commissario, con tanto di significativa semplificazione di procedure e con potere di agire in deroga praticamente a tutto(leggi, regolamenti, enti vari, ecc.) senza perdipiù rispondere di fatto all’unico, sicuro detentore della sovranità, “quel” corpo elettorale al quale si accennava.
Paradossalmente, quel potere(assoluto) al quale ci si voleva sottrarre, ecco che talvolta riemerge, riappare e si manifesta sotto le mentite spoglie del… commissario.
Quante volte, vale rammentare, è stato pubblicamente e da ogni dove affermato, che quello che si riesce a produrre in un Comune quand’è commissariato(e, cioè, con i poteri di sindaco, giunta e consiglio accentrati temporaneamente in un unico soggetto)…
Per non stare a dilungarsi sulla ricostruzione effettuata a tempi da record del
ponte di Genova con la regia di un onnipotente Commissario(!).
Verrebbe da dire: ma allora, non sarebbe meglio meno spezzettamento del potere e contestuale, maggiore possibilità di controllo ed espressione(politici, al netto di eventuali comportamenti illeciti, naturalmente), da parte del corpo elettorale, sui risultati dell’operato di quanti siano rivestiti di pubbliche responsabilità, togliendo altresì a questi ultimi l’alibi del “non mi hanno consentito di fare nulla”?
Non dovrebbe essere questo il senso profondo della democrazia?
Si è pienamente consapevoli che, per complessità, l’argomento affrontato meriterebbe ben altro respiro e che, peraltro come ogni espressione del pensiero, anche quanto rappresentato possa dunque prestarsi a obiezioni di diversa natura, non ultimo per difetti di comunicazione.
Nondimeno, qualche conclusione si può provare a trarre.
Intanto, che la “fortuna” del coordinamento in sé dipenda dalla misura dello spezzettamento di competenze e procedure: almeno finché, insistendo di questo passo, a implodere, in luogo del potere, non sia il sistema stesso.
Il coordinamento, si soggiunge, dovrebbe essere affidato a una figura che per autorevolezza e mestiere, più che per “sapere”, sia accettato, riconosciuto e rispettato nella convinzione che, quale che sia il risultato finale, nessuno abbia cercato scientemente di danneggiare l’altro.
In questo, uno dei candidati che lo stato delle cose, non fantasie partigiane, propone, è certamente il prefetto.
Benché rappresentante sul territorio del Governo, e dunque di parte, per la incapacità cronica degli organi centrali di farne un punto di forza del proprio agire – tanto che periodicamente si è cercato e, si ipotizza, si proverà incredibilmente di nuovo prima o poi, e a opera ancora degli apparati del Governo di turno, a depotenziarlo se non a sopprimerlo – se non di farvi ricorso come “toppa” quando non si sa più a che santo votarsi(immigrazione e covid, a titolo indicativo), una certa aurea di “terzietà” il prefetto se l’è faticosamente ritagliata.
Circostanza, questa, che, nella questione in narrativa, indubbiamente suona a suo favore.
Come pure la confusione che tuttavia, per quanto si accennava, pervade la sua identità.
Ha per esempio ancora senso, oggi, parlare di funzione di governo e, cioè, di amministrazione del territorio in capo al prefetto(eccezion fatta naturalmente per l’ordine e la sicurezza pubblica)?
Si lascia volentieri la risposta al paziente lettore, se lo ritenga.
Per più ragioni, chi scrive è dell’idea che, in realtà, l’esperienza concreta assegni al prefetto un profilo di garanzia.
Non di quella, beninteso, garantita giuridicamente da autonomia e indipendenza, bensì di garante delle condizioni di base per il sereno espletamento della propria attività da
parte di coloro che siano legittimati ai vari livelli dai cittadini alla gestione della cosa pubblica o che concorrano con il proprio sudore della fronte allo sviluppo della società.
Infine.
I complimenti più sinceri ad Antonio Giannelli per la riuscita del convegno Il coordinamento-strumento di raccordo operativo interistituzionale, svoltosi a Milano Marittima il 22 settembre u.s., che ha tra l’altro ispirato queste brevi riflessioni(così, come probabile, non vi fossero piaciute, saprete se non altro con chi prendervela).
E, infine, un abbraccio affettuoso e pubblico a Claudio Palomba, come affettuoso e pubblico è stato, nella suddetta circostanza, il ricordo delle tante battaglie sostenute insieme, senza mai mollare.
Talvolta, condotte persino con successo.
Prefetto a riposo Presidente di AP-Associazione Prefettizi