A proposito di Guerre Ibride. L’immigrazione indiscriminata di massa attuale presenta o no le caratteristiche tecniche appropriate, per cui si può correttamente parlare di un conflitto atipico ma aperto tra Nord e Sud del mondo?
La risposta, in un senso o in un altro, non può che derivare da una attenta analisi dei processi storici, geopolitici e socio-economici che hanno generato migrazioni epocali, sia nel recente passato che nel presente. Ora, a quanto pare, il fenomeno si presenta con almeno due aspetti fondamentali che legittimerebbero la sua assimilazione alla tipologia della guerra ibrida.
In primo luogo, si è già avuto modo di verificare la circostanza di come importanti movimenti di massa di popolazioni sub- sahariane, e non solo, abbiano rappresentato una chiara forma di ricatto geopolitico, messo in atto da Stati autocratici mediterranei extraeuropei. Si citano in merito la Libia di
Gheddafi pre-2011; la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan; la Tunisia di Kaïs Saïed e la Cirenaica di Khalifa Haftar. Ultimamente, anche la Bielorussia di Alexander Lukashenko si è unita a questa strategia, facendo arrivare al confine comune con la Polonia una considerevole massa di migranti irregolari, provenienti da altre rotte continentali. Per quanto riguarda l’esodo verso l’Europa di milioni di ucraini in fuga dalla guerra, questo aspetto della immigration war è stato attentamente valutato e poi attuato dagli alti comandi militari e dai vertici politici russi, nella speranza di destabilizzare attraverso la migrazione forzata il quadro interno della Unione Europea e della Nato.
Il secondo aspetto, invece, riguarda atti assimilabili alla pirateria e al terrorismo internazionali, messi in atto da organizzazioni criminali attive nel traffico di esseri umani e che operano indisturbate in Paesi mediterranei extra-Ue che, di fatto, colludono con i loro
interessi criminali. In questo secondo caso, se l’Ue fosse una federazione coesa di Stati, sarebbe piuttosto facile attuare una difesa comune delle frontiere, coinvolgendo l’uso massivo di droni e i seals team delle forze speciali per fermare a terra i barconi prima che ricevano i loro carichi dolenti, in modo da distruggere tutte le infrastrutture dei trafficanti di uomini e le loro basi terrestri e marine, in base al codice internazionale antipirateria. Il primo aspetto, invece, della vera e propria hybrid immigration war, risulta ben più delicato da affrontare, anche in considerazione dei disastri che abbiamo causato con la caduta di Gheddafi e l’appoggio incondizionato alle primavere arabe che, nel caso delle milizie fondamentaliste in guerra contro il dittatore siriano Bashir Assad, hanno causato almeno mezzo milione di vittime. Queste iniziative, com’è noto, hanno avuto esiti del tutto destabilizzanti per noi e per i Paesi coinvolti, non fosse altro che per l’enorme numero di vittime e di profughi che hanno causato, non avendo l’Europa individuato in via preliminare gli opportuni accordi internazionali e regionali per una successione politica concordata, sia a Tripoli sia a Damasco.
Ora, l’assalto di migranti irregolari alle coste mediterranee (non dissimile da quello che avviene al confine tra Stati Uniti e Messico), favorito dalle organizzazioni internazionali di trafficanti di uomini, si fonda su due profonde debolezze istituzionali degli Stati occidentali interessati. Perché è chiarissimo che i nuovi negrieri hanno una assoluta padronanza degli strumenti giuridici, che fanno capo alle due Convenzioni internazionali di Ginevra e del Diritto del mare. Onde per cui, da un lato, chiunque arrivi alle frontiere comuni europee, marine e terrestri, si dichiara asilante e pretende di vedere esaminata dagli Stati membri la relativa istanza, mentre, dall’altro, per arrivare forzosamente sul territorio europeo si fa espressamente naufrago, obbligando così i Paesi europei rivieraschi al salvataggio e al soccorso in mare senza condizioni.
È chiaro che sia i trafficanti che le loro vittime consenzienti e paganti puntino, una volta arrivati in Europa (sui barconi, o in piccoli gruppi di irregolari portati via terra dai passeur), sulla impossibilità pratica del respingimento dei non aventi diritto all’asilo, per la riluttanza e/o la mancanza di accordi con i Paesi di provenienza a riprendere indietro i propri connazionali. Ora, sull’aspetto giuridico, è chiaro che occorra indire al più presto una Conferenza internazionale di riforma della Convenzione di Ginevra(nata per tutti altri scopi e per piccolissimi numeri!), che non si può utilizzare come grimaldello legale per forzare l’accesso alle frontiere europee o statunitensi. In sua sostituzione, l’indizione di una Conferenza ad hoc, composta dai principali Stati di accoglienza (l’Ue deve poter designare un suo rappresentante unico) e dalle organizzazioni internazionali per l’immigrazione e l’asilo, che hanno competenza istituzionale in materia, potrebbe darsi il compito di fissare standard comuni internazionali per l’esame delle richieste di asilo. Queste ultime debbono essere processate esclusivamente all’interno di piattaforme e aree attrezzate di transito, situate al di fuori dei Paesi di accoglienza e sotto tutela delle forze di sicurezza dell’Onu, per il triage preventivo dei profughi e degli asilanti, in modo da poter decidere con sufficiente distacco e competenza chi abbia diritto a essere accolto e chi no. Pertanto, chiunque arrivi illegalmente alle frontiere dei Paesi di accoglienza deve essere rinviato de iure a queste aree-buffer protette internazionalmente, prima di vedersi riconosciuto il diritto a soggiornare negli Stati di accoglienza a seguito dell’esame positivo della sua richiesta.
Ovvio che, se si interpreta ciò che sta accadendo da mesi a Lampedusa sotto l’accezione della Immigration War, è possibile dichiarare unilateralmente lo stato di emergenza, sospendendo temporaneamente l’efficacia sia della Convenzione di Ginevra sia del Diritto del mare nelle acque del Mediterraneo, con contestuale respingimento
dei migranti alla frontiera marina dei Paesi rivieraschi da cui sono partiti i natanti. Per disincentivare l’arrivo di minori non accompagnati(che richiamano folle di parenti per il ricongiungimento familiare!), si deve mettere in chiaro che si procederà da subito all’avvio delle pratiche di adozione da parte di famiglie italiane. In più, nel nostro caso, si potrebbe ugualmente pensare a una sorta di “Roma città aperta”, sospendendo a tempo la validità degli Accordi di Dublino, con connessa disapplicazione degli obblighi di registrazione contenuti nelle norme Eurodac. Ovvero, i migranti non autorizzati che entrino illegalmente nel nostro territorio non hanno alcun diritto al rilascio di un permesso di soggiorno a qualsiasi titolo, ma “non” vengono trattenuti e sanzionati come irregolari se decidono di lasciare il nostro Paese. Si può facilmente immaginare che Bruxelles, messa in tal modo alle strette da un
Paese fondatore, si muoverebbe finalmente per una seria difesa delle frontiere comuni e per la firma di un nuovo Trattato sull’immigrazione e l’asilo, favorevole ai Paesi mediterranei.
Resta però in sospeso nel nostro caso una scomodissima verità.
Ovvero, che gli overstayer(gli extracomunitari cioè che hanno un visto scaduto per soggiorno o turismo) sono molti di più dei migranti arrivati via mare in un decennio! Per costoro, non esiste un problema di rientro coatto nel loro Paese di origine. Peccato, però, che un’intera economia del turismo e dei servizi si regga sul lavoro precario e in nero di molte centinaia di migliaia di overstayer, non ultimo il settore delle badanti e delle collaboratrici familiari.
Allora, che cosa vogliono davvero gli italiani?